>Alcolismo |
L'alcolismo è una malattia primaria, cronica, il cui sviluppo e le cui manifestazioni sono influenzati da fattori genetici, psicosociali e ambientali, che spesso presenta un decorso progressivo e fatale, caratterizzato da una continua o periodica alterazione del controllo del bere alcol, da un eccessivo interesse e da un persistente consumo di alcol nonostante la comparsa di conseguenze negative e da un alterato giudizio, fino al diniego, dell'effettivo uso di alcol. L'alcol è la preferita ma anche la più pericolosa droga presente nel mondo. Nella maggior parte delle società occidentali l'uso di alcol costituisce il più diffuso metodo ufficialmente approvato e legittimato per cambiare gli stati d'animo e le percezioni, bisogno che gli esseri umani hanno sempre avuto in quanto intrinseco alla loro natura. Si può affermare con una certa sicurezza che, nonostante la recente pandemia dei problemi dovuti alle droghe illegali, come l'eroina, la cocaina e le amfetamine, e nonostante il panico morale che queste droghe hanno creato, il danno totale causato dall'alcol in tutto il mondo supera di gran lunga quello dovuto a tutte le altre sostanze psicoattive. Negli ultimi decenni il consumo mondiale di alcol è aumentato: ciò è dovuto al crescente aumento riscontrato nei paesi in via di sviluppo, nei quali il consumo di alcol pro capite, a causa della diffusa povertà e delle regole religiose, è considerevolmente più basso di quello dei paesi più avanzati; in questi ultimi, invece, nei quali vi è un'alta prevalenza di uso di bevande alcoliche, il consumo documentato di alcol sta calando. Nel mondo le morti e le disabilità correlate all'alcol sono responsabili del 4% del carico derivato dalle malattie a livello mondiale; tale percentuale sale al 9,2% nei paesi in via di sviluppo; nei paesi economicamente emergenti, come la Cina, l'alcol rappresenta il maggiore fattore di rischio per la salute. L'abuso e la dipendenza da alcol sono più comuni nei maschi che nelle femmine, con rapporto pari a 5/I, variabile a seconda del gruppo di età considerato. In genere le donne iniziano a bere diversi anni più tardi degli uomini, ma in esse i disturbi da abuso o dipendenza sembrano progredire più velocemente. La storia dell'uso dell'alcol risale a migliaia di anni fa. Non vi sono documenti che attestino dove o come per la prima volta si ottennero bevande fermentate, ma furono pochi i popoli che, prima ancora che fosse inventata la scrittura, non scoprirono o non incontrarono l'alcol in una qualche fase del loro sviluppo. Per la loro capacità di indurre un senso di euforia trascendente, le bevande alcoliche erano utilizzate specialmente in occasione delle celebrazioni. Così il bere divenne una parte integrante delle cerimonie associate ai riti di passaggio, all'operare magie, alla promozione della fertilità e alla preparazione della guerra. Le antiche civiltà del Medio Oriente (babilonesi, ebrei, sumeri, egiziani) hanno lasciato iscrizioni e affreschi che ci forniscono l'evidenza di un fiorente commercio del vino e della conoscenza delle conseguenze dell'ubriachezza. Il vino e altre bevande alcoliche fecero parte della cultura giudaica e di quella cristiana fin dai primi tempi e di ciò si ritrovano numerosi riferimenti anche nella Bibbia. Nel mondo degli antichi greci sia l'idromele (bevanda alcolica derivata dal miele) che il vino erano ben conosciuti. La coltivazione della vite era nota tra i romani fin dal tempo della fondazione della città di Roma e molti poeti latini celebrarono le virtù del vino. I romani diffusero la conoscenza e la pratica della coltivazione della vite sia verso Est (il futuro Impero bizantino) che verso Ovest e Nord (Gallia, Valle del Rodano). Nel Medioevo in Europa il bere vino divenne sempre più popolare. Il vino era prescritto dai medici per le sue proprietà medicinali e coltivato in modo esteso dalla Chiesa. Nel XII secolo gli arabi introdussero in Europa dalla Cina, ove era stata inventata, la distillazione dell'etanolo dal vino e il distillato prese il nome di spiritus o aqua vitae. La conoscenza della distillazione dell'alcol si diffuse all'inizio del XVI secolo. Gli olandesi impararono a fare il gin dal grano e dalle bacche di ginepro ed esportarono tale tecnica in Inghilterra. All'inizio del XVIII secolo l'ubriachezza provocata dal gin e da altri spiriti si diffuse talmente da diventare motivo di grande preoccupazione. Il gin fu incolpato di molti mali quali la povertà, le malattie, la criminalità e il caos nella vita familiare. Londra si riempì di gin houses e ne derivò un tasso di ubriachezza molto alto tra i poveri come tra i ricchi. L'avvento della Rivoluzione industriale comportò una notevole preoccupazione soprattutto a causa delle conseguenze degli effetti fisici dell'alcol sulla produttività e il bere cessò di essere considerato un valido metodo per accrescere le capacità dei lavoratori manuali. Fino al XIX secolo in tutto il mondo occidentale la condizione in seguito definita « alcolismo» era stata considerata come un difetto morale e un peccato tanto che, seppure in tempi e con modalità diversi, le religioni cristiana, buddista e musulmana avevano condannato gli effetti e/o il consumo delle bevande alcoliche. Ma a partire dal secolo precedente, analogamente a quanto era accaduto per la maggior parte delle altre malattie, anche per l'alcolismo spiegazioni razionali e scientifiche avevano a poco a poco preso il posto dei postulati morali e religiosi ed era gradualmente iniziata la medicalizzazione delle condizioni, che fino ad allora erano state chiamate ubriachezza o vizio di bere. I medici divennero sempre più consapevoli dei danni causati dall'alcol, fu individuata la relazione tra abuso di alcol e malattia epatica e iniziarono a esserne descritti nella letteratura scientifica gli effetti sulla salute. La concezione dell'abuso di alcol come malattia fu esposta per la prima volta dal fondatore della psichiatria americana B. Rush (1784), il quale mise in guardia i medici dell'epoca nei confronti dei danni sociali e organici causati dall'alcol, che stava indebolendo la costruzione dell'America coloniale. Rush, che riteneva che il bere fosse una malattia della volontà e come tale dovesse essere trattato (e punito), per primo forni una chiara descrizione del progressivo instaurarsi della dipendenza da alcol, consistente in attacchi di ubriachezza caratterizzati dall'incapacità di astenersi dall'alcol, ingerendo la totale astinenza come cura della malattia. Nello stesso periodo il mediai scozzese T. Trotter (1804) definì l'ubriachezza abituale come una «malattia della mente», che doveva essere trattata da «medici competenti e oculati». Trotter, che riteneva l'abuso di alcol una delle cause principali della follia nonché di altre malattie quali l'epilessia e la gotta, suggerì la creazione di luoghi appositi di disintossicazione ma, a differenza di quanto sostenuto da Rush, raccomandò la temperanza piuttosto che l'astensione totale dall'alcol. Il termine «alcolismo» venne coniato molti anni dopo dal medico svedese M. Huss ( 1849), che definì tale condizione morbosa come un insieme di manifestazioni patologiche del sistema nervoso nelle sue sfere psichiche, sensitive e motorie, osservabile nei soggetti che per un periodo prolungato hanno bevuto bevande alcoliche in modo continuo ed eccessivo. In Europa le radici storiche della moderna concezione dell'alcolismo risalgono al XIX secolo, quando alienisti di lingua francese (Pinel, Esquirol, Morel e più tardi Magnan) e di lingua tedesca (Kraepelin, Heilbronner, Bonhoeffer, Forel e più tardi lo svizzero Bleuler) ne fecero l'oggetto di trattazione scientifica descrivendone in modo penetrante la psicopatologia clinica. Nello stesso periodo, negli Stati Uniti veniva formata la Association for the Study of Inebriety e in seguito società scientifiche simili sorsero anche in Inghilterra e in Francia. Nel 1876 fu fondato «The Journal of Inebriety», forse il primo periodico scientifico dedicato all'alcolismo, nel quale veniva sostenuta la natura psichiatrica di tale malattia. Dalla concettualizzazione dell'alcolismo come malattia derivò che la sua cura venne considerata un'appropriata forma di risposta al problema, per cui in Europa e in America da parte di medici privati e di società filantropiche venne offerta una varietà di trattamenti e da parte delle autorità statali vennero istituiti luoghi di ricovero riservati agli alcolisti. Nella prima parte del XIX secolo, in risposta alla diffusione dell'alcolismo e ai problemi sociali da essa derivati erano sorte, particolarmente negli Stati Uniti e in Inghilterra, numerose organizzazioni e società di autoaiuto per la temperanza basate sui concetti di malattia, di perdita del controllo e di astinenza. Pur essendo state influenzate dall'opera di Rush, le prime società per la temperanza non furono proibizioniste, perché all'inizio temperanza significava moderazione e non astinenza. D'altra parte va ricordato che lo stesso Rush non aveva incluso il vino e la birra nell'elenco delle bevande proibite. All'inizio del XX secolo lo sviluppo dei movimenti per la temperanza divenuti intransigenti, da una parte, e la maggiore attenzione posta ai danni sociali legati all'alcol, quali la perdita della produttività, gli incidenti, il crimine e la povertà, dall'altra, contribuirono al declino del concetto di alcolismo come malattia sia in Inghilterra che negli Stati Uniti e il modello dell'alcol come sostanza intrinsecamente additiva venne perso. Negli Stati Uniti l'allarme per la grave minaccia rappresentata dall'alcol per la salute pubblica e per lo sviluppo sociale portò a numerosi esperimenti legislativi miranti a rafforzare l'astinenza. L'alcol venne considerato come una sostanza pericolosa da vietare a tutti, per cui con la legge che sanciva tale divieto la lotta contro l'alcolismo assunse le caratteristiche di una vera e propria azione repressiva. I conseguenti provvedimenti legislativi (il periodo del proibizionismo durò dal 1919 al 1933), che riportavano il problema dell'alcol sul piano sociale e politico, non ebbero il successo sperato, anzi risultarono del tutto fallimentari. In genere le strategie proibizionistiche adottate in varie parti del mondo non ebbero apprezzabili risultati in termini di cessazione del consumo di alcol. Nei paesi occidentali l'unico intervento di proibizionismo riuscito fu probabilmente quello adottato alcuni anni prima in Francia (1915) contro il consumo di assenzio, liquore che all'inizio del Novecento era diventato il flagello di tutte le nazioni francofone. Il modello dell'alcolismo come malattia ricomparve negli Stati Uniti negli anni '30 e in Inghilterra alla fine degli anni '40, quando in quei paesi il clima sociale e politico fu pronto a favorirne la ricomparsa. Una serie di fattori contribuì al riaffermarsi negli Stati Uniti di tale modello: il movimento degli Alcolisti Anonimi, sorto nel 1935, che sosteneva che le persone malate di alcolismo dovevano essere curate e non punite, gli studi pionieristici della Yale School of Alcohol Studies e gli scritti di E. Jellinek, oltre al fatto che nell'immaginazione pubblica il movimento per la temperanza e per la proibizione era strettamente legato a un approccio all'alcolismo di tipo moralistico e ascientifico. Jellinek (1960) sostenne che l'alcolismo in quanto malattia doveva essere incluso nel campo delle dipendenze, essendo caratterizzato da manifestazioni psicologiche e biologiche dovute alla perdita del controllo dell'ingestione di bevande alcoliche. Jellinek distinse l'alcolismo in cinque tipi: 1) alfa: dipendenza psicologica dall'alcol, utilizzato per alleviare un malessere fisico o emotivo, senza segni di dipendenza fisica; bere sregolato riguardo i tempi, le circostanze, la quantità e gli effetti sul comportamento; 2) beta: bere che, in assenza di una dimostrabile dipendenza fisica o psicologica, causa danni di tipo fisico a livello di molti organi e apparati e complicanze di altre malattie coesistenti; 3) gamma: il più frequentemente osservato nei paesi anglosassoni, caratterizzato da aumentata tolleranza all'alcol, insorgenza di una sindrome da astinenza (scosse muscolari, craving compulsivo, convulsioni, allucinazioni, stato confuso-onirico) quando l'assunzione di alcol è interrotta bruscamente e perdita del controllo; 4) delta: riscontrato particolarmente nei paesi in cui si beve abitualmente vino (Francia, Italia), caratterizzato da aumentata tolleranza e sintomi di astinenza senza perdita di controllo; 5) epsilon: bere in forma di attacchi parossistici per giorni o settimane fino a collassare, ed eventualmente cessare di bere per settimane o mesi fino al successivo attacco. In uno studio svedese C. Cloninger (1987), basandosi su dati familiari, genetici, epidemiologici, psicopatologici ed evolutivi, ha proposto di distinguere l'alcolismo in due sottotipi: 1) «ambientale», il più frequente, riscontrato in entrambi i sessi con esordio relativamente tardivo (dopo i 20 anni) e lenta progressione, i cui fattori di rischio primari sono soprattutto rappresentati da problematiche precoci legate all'ambiente mentre sono in misura ridotta di tipo genetico; in questo tipo i fattori di personalità rivestono un ruolo modesto; 2) «maschile», riscontrato esclusivamente nel sesso maschile con esordio prima dei 20 anni e rapida evoluzione verso la dipendenza e la comparsa di gravi conseguenze somatiche e sociali, i cui fattori di rischio primari sono, oltre il sesso maschile, l'esistenza di deficit neuropsicologici precoci e principalmente fattori di ordine genetico (alcol dipendenza nel padre); in questo tipo di alcolismo, nel quale si riscontrano frequentemente comportamenti antisociali (condotte aggressive, delinquenza, violenza, problemi di tipo legale), i fattori ambientali sembrano non avere molto peso, mentre la presenza di una personalità antisociale rappresenta una condizione favorente il suo sviluppo. Dal punto di vista psicobiologico l'alcolismo è un disturbo eterogeneo che interessa molti differenti sistemi neurotrasmettitoriali e recettoriali a livello del sistema nervoso centrale. Sul piano psichiatrico le manifestazioni cliniche dell'alcolismo sono rappresentate dall'intossicazione alcolica acuta e dalle condotte alcoliche croniche. L'intossicazione alcolica acuta si distingue in ebbrezza semplice e in ebbrezza patologica. Per ebbrezza si intende la manifestazione comportamentale dell'azione dell'etanolo sul funzionamento cerebrale. L'ebbrezza semplice si sviluppa con l'aumento del livello alcolemico in tre fasi: eccitamento psicomotorio, incoordinazione, coma. L'ebbrezza patologica può presentarsi in diverse forme cliniche: eccitomotoria, allucinatoria, delirante e convulsiva. Le condotte alcoliche croniche (il termine alcolismo dovrebbe essere riservato a queste manifestazioni cliniche), cui corrispondono numerosi quadri clinici specifici, sono caratterizzate da: a) sintomi di dipendenza fisica (lievi segni di astinenza, aumento progressivo della tolleranza all'alcol), b) sintomi di dipendenza psichica, e) sintomi di astinenza (delirium tremens, delirio alcolico subacuto, epilessia da astinenza). L'alcolismo può associarsi ad altri disturbi psichiatrici, tra i quali i più comuni sono la depressione, l'ansia e la personalità antisociale. Gli alcolisti che hanno anche un'altra patologia psichiatrica hanno un peggiore decorso clinico e un peggiore esito. Gli obiettivi generali del trattamento dell'alcolismo consistono nel favorire un miglioramento della qualità della vita deteriorata dall'intossicazione alcolica, aiutando il soggetto a iniziare e a mantenere a lungo l'astinenza dall'alcol. Il trattamento consiste in una presa in carico, spesso multidisciplinare, il cui successo si fonda sull'adesione del soggetto, la costanza della sua motivazione, la fiducia riposta sui curanti. Non vi è, pertanto, un trattamento standardizzato dell'alcolismo: in funzione della personalità del soggetto, del tipo e della fase della sua condotta alcolica si può ricorrere a metodi diversi, farmacoterapici, psicoterapici e socioterapici. Frequentemente è necessaria la loro associazione, contemporanea o successiva. Come per le altre forme di dipendenza da sostanze, anche per l'alcolismo il punto centrale della cura consiste nel prevenire le ricadute una volta che lo stato di sobrietà sia stato raggiunto dopo un trattamento specifico o nell'ambito della storia naturale della malattia. Proprio con la finalità comune di prevenire le ricadute e mantenere la sobrietà, cioè di stabilizzare uno stile di vita tale da evitare l'assunzione incontrollata delle bevande alcoliche, a partire dalla prima metà del secolo scorso si sono sviluppate molte organizzazioni di mutuo aiuto, tra le quali vanno ricordati il movimento degli Alcolisti Anonimi, sui principi del quale G. Baleson basò la sua teoria sull'alcolismo, e i Club degli Alcolisti in Trattamento, che, introdotti nei primi anni '80 del secolo scorso in Italia dallo psichiatra croato V. Hudolin, hanno avuto una notevole diffusione in tutto il territorio nazionale. Oggi la nozione dell'alcolismo inteso come malattia e l'approccio diagnostico basato su un modello medico sono da più parti messi di nuovo in discussione e sono stati proposti approcci alternativi alle problematiche legate all'alcol. È stato anche sottolineato il fatto che esiste un continuum, nel quale sono compresi i diversi comportamenti e i problemi sociali e psicologici correlati all'uso di alcol, anche in assenza di dipendenza fisiologica. Un fatto, tuttavia, è incontrovertibile: che, a partire dalla fine del XIX e per tutto il XX secolo, lo sviluppo delle conoscenze sul problema alcolismo ha contribuito al ribaltamento dell'immagine professionale e pubblica dell'alcolista da quella di «un caso disperato», una «persona moralmente debole», a quella di un individuo sfortunato afflitto da una malattia che, come altre malattie, è possibile guarire mediante cure mediche e psichiatriche e un adeguato supporto non specialistico. Soprattutto negli ultimi decenni del XX secolo i numerosi contributi teorici e pratici derivati dalla concezione dell'alcolismo come malattia ha orientato prevalentemente verso approcci di tipo preventivo e verso una prospettiva molto più ampia della natura del problema alcol. Di conseguenza l'interesse si è spostato sull'uso scorretto dell'alcol e sul bere problematico, piuttosto che sull'alcolismo come malattia conclamata, e sul grado dei danni alcolcorrelati presenti nelle comunità e nelle popolazioni nel loro insieme, piuttosto che nell'individuo e nella famiglia. Di conseguenza, l'approccio medico specialistico all'alcolismo e la convinzione che il suo trattamento debba essere attuato, all'interno di servizi specifici, da psichiatri o da altri professionisti formati in modo specifico, supportati da strutture residenziali di riabilitazione, servizi e gruppi di autoaiuto, ha lasciato il posto a modelli di intervento meno specialistici in una prospettiva di salute pubblica. Oggi in Europa e negli altri paesi occidentali le risposte ai problemi alcolcorrelati includono campagne pubbliche di educazione e di sensibilizzazione, strategie di disintossicazione e di erogazione delle cure basate su servizi di comunità, interventi precoci e di breve durata e un'ampia gamma di servizi di consultazione, che agiscono parallelamente alle organizzazioni di autoaiuto. GIUSEPPE ZANDA |